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Le sindromi trombofiliche: aspetti diagnostici e prospettive terapeutiche

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Le carenze congenite di antitrombina, proteina C e proteina S, la resistenza all’azione anticoagulante della proteina C attivata (con o senza fattore V Leiden), la mutazione nel gene della protrombina, la disfibrinogenemia, l’iperomocisteinemia moderata e la sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono fattori di rischio per tromboembolismo venoso (TEV). Tutte queste condizioni possono essere identificate con test di laboratorio relativamente semplici. Pertanto, il laboratorio clinico può essere utile partner del medico, nella identificazione dei pazienti a rischio di TEV e nella loro gestione clinica. Screening indiscriminati sono, tuttavia, sconsigliati e i pazienti da arruolare allo studio di laboratorio dovrebbero essere attentamente selezionati. Sono candidati allo screening di laboratorio i pazienti con precedente storia di TEV e i loro familiari, anche se ancora asintomatici. Lo studio di laboratorio dovrebbe essere eseguito lontano (sei mesi) dall’episodio acuto e comunque alla fine (due settimane) del corso regolare di profilassi antitrombotica. I metodi di studio capaci di misurare la “funzione” dovrebbero essere preferiti a quelli per la misura della “concentrazione”, là dove questa scelta è possibile.
I nuovi anticoagulanti orali (NOAC) sono un presidio terapeutico innovativo per i pazienti trombofilici.
Da studi internazionali i NOAC sono risultati la migliore alternativa ai farmaci antivitamina K (AVK) nella gestione dei pazienti da sottoporre a terapia anticoagulante. La diagnosi di trombofilia si avvale di numerosi test di laboratorio: a quali pazienti richiederli? Quando richiederli?

Il corso si propone di fornire un aggiornamento e approfondimento della diagnostica e della cura delle sindromi trombofiliche.

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